LETTERA APERTA AGLI IMPRENDITORI

«Crescere o vendere?», è la domanda che pone Ferruccio De Bartoli nel suo articolo pubblicato nell’Inserto «L’Economia» del Corriere della Sera il 25 febbraio 2019. E la stessa domanda noi desideriamo rivolgere agli imprenditori che quotidianamente visitano questo sito. Il dilemma, da cui può scaturire una risposta univoca, necessita di qualche considerazione all’apparenza banale. Il titolare dello Studio, ormai da più di un decennio, tratta l’argomento entrato a pino titolo nei dibattiti degli economisti, ma d’interesse vitale per gli imprenditori, giungendo alla conclusione che sia meglio sviluppare la produzione che mettere sul mercato la propria azienda. Quale strategia porre in essere per dare impulso alla crescita? Investire, anche in funzione dell’innovazione tecnologica, quindi ridurre i costi della produzione, sì da essere il prodotto finito concorrenziale nel mercato globale: queste due condizioni sono indefettibili che, per la loro elementarità, ciascun imprenditore deve conoscere. Investire per crescere è un argomento accattivante ma non sempre percepito nella dovuta misura. Investire i propri capitali è generalmente una prerogativa della grande impresa, della multinazionale, e raramente della PMI, costretta all’indebitamento verso le banche che concedono i finanziamenti. Il tema dell’acceso al credito più volte è stato da noi affrontato, e gli imprenditoria che si sono rivolti allo Studio sovente sono stati indirizzati verso il finanziamento pubblico. Più problematico è il ricorso ad altre forme di finanziamenti, quali proposti dai grandi fondi di private equity cui ricorrono le società non quotate in borsa, le cui azioni, anche se possedute da terzi, vengono rilevate da un investitore istituzionale.

L’alternativa alla crescita – secondo De Bartoli - è la vendita della propria azienda. I dati riportati, quali risultano dal «Rapporto Kpmg» (società di revisione contabile), offrone il seguente quadro: le operazioni di «merger & acquisition», riferite al 2018, ammontavano ad un controvalore di 91,4 miliardi, circa il doppio rispetto all’anno precedente, per un totale di 882 contratti di passaggio. Gli investitori esteri, acquirenti di società italiane, sono stati 166 per 57 miliardi euro. Acquisizioni e fusioni di aziende può essere l’opzione alla crescita, ma produce, nel caso di «merger», l’effetto di vedere le società fuse smettere di esistere e i loro patrimoni confluire in un nuova società, mentre nell’ipotesi di «acquisition» la società incorporante conserva la propria identità giuridica e le società incorporate cessano di esistere. Non è dato conoscere i motivi che hanno spinto i singoli imprenditori a preferire la prefata operazione; possiamo ipotizzare che la vendita della propria azienda non sia la conseguenza diretta della perdita di produttività tale da non essere sanata con interventi appropriati nel breve termine. Sorge, allora, spontanea la domanda: quale valore attribuire ad un’azienda che manifesti un indice basso di produttività dei fattori della produzione in rapporto ai beni e/o servizi prodotti? In altri termini, la crisi dell’impresa, che determina la diminuzione del suo valore economico, in quale misura è appetibile per chi intende acquistarla? La risposta non può che essere negativa, considerando che chi intende investire nell’acquisto di un’azienda valuta principalmente il suo tasso di crescita. Il consiglio utile che allora si può dare all’imprenditore propenso a vendere il complesso di beni organizzati in funzione della produzione, è quello di attuare prima della proposta di vendita un piano di risanamento basato su l’analisi accurata dell’azienda, partendo da previsioni sostenibili in relazione all’andamento storico dell’azienda e alle concrete prospettive di sviluppo.    

Una terza possibilità, verso la quale cresce l’orientamento di molte aziende italiane, è la delocalizzazione verso Pesi anche al di fuori dell’U.E. dove è vantaggioso il regime fiscale, il prezzo delle materie prime, il costo del lavoro.

In tutte le ipotesi sopra considerate, questo Studio può prestare, a tutti gli imprenditori interessati, consulenza e assistenza globale, la cui garanzia si fonda sull’esperienza e professionalità del suo titolare.

L’opinione degli imprenditori è per noi sempre preziosa; la loro manifestazione, attraverso il recapito di posta elettronica studio.dott.pietrofulciniti@gmail.com, è gradita perché arricchisce lo scambio di idee.

Cordialmente.

Pietro Fulciniti

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